CHE L’ESTATE COMINCI

Da “Appiano degli usignoli”, in Passeggiate lariane, 1939. Carlo Linati

«Quante volte, fin da ragazzo, io son venuto ad aggirarmi fra gl’intrighi e le ombrie di questa grande pineta lombarda! Questa Città di Verde, questa grandiosa metropoli vegetale mi fu amica quando era ancora intatta nei suoi tronchi maestosi e le piante venivan lasciate crescere come volevano, e mi è amica ancora adesso che han fatto tagliare un po’ da ogni parte e che la crudità dei tempi ha assottigliato e impoverito la selva. Ma ci torno con l’istesso cuore e l’istesso piacere. Oggi, in mezzo al tessuto della selva, dove han potuto sottrarre un po’ di humus alla dura compagine dei suoi terreni cretacei, hanno aperto campi e prati, fabbricato casolari, piantato gelsi: per cui, non più così solenne come un tempo, la si potrebbe paragonare ad uno splendido broccato ragnato dalle tarme. Con tutto questo si possono ancora fare chilometri e chilometri dentro la selva, perdersi alla ventura per i suoi infiniti sentieri, per le sue ombre, senza inciampar anima viva. E questo è il suo bello. Solo la gigantesca moltitudine dei pini vecchi e giovani, attruppati o sciolti, vi è compagna in quel vagabondaggio, mentre l’odore corsaro delle resine vi alita intorno inebriante come non so che aura mistica del meriggio solatio. Esso vi riporta l’animaverso un arcano paese di adolescenza, verso non so che ancestrale paese d’aromi. Io passo in mezzo a tutti questi pini come un buon amico di casa. Siamo ai primi di giugno e la fioritura delle ginestre, quella loro folle risata gialla e profumata, esplode fra i tronchi con gridi di follìa e di saluto. […] Un meriggio passato nel pineto, che lezione di purezza! Più m’addentro più la moltitudine si fa fitta e par che mi si stringa addosso. Dopo pochi minuti io mi sento veramente prigioniero di questa folla verde ed attenta e sento di dover piegare il mio essere alla sua legge. Ormai sono immerso in questa grande famiglia silenziosa, eretta, un poco solenne, a cui le folate di vento strappano lunghi sospiri misteriosi che si dileguano come parole appena balbettate, giù giù per la grande pianura. Il pineto ha le sue brave piccole alture e fenditure in fondo alle quali scorre qualche rigagnolo che talvolta arriva persino a diventar torrente, come quel Bozzente a cui affluiscono le acque di ruscelli di minor conto, quali l’Antiga e la Rogoretta: sconsolati burrati dai fianchi grondanti di terre rosse. Ma se poi vi vien fatto di salire s’una breve eminenza ecco che la selva vi si apre davanti e vi mostra là in fondo alla pianura il Monrosa con tutte le sue propaggini nevate, terribile e immateriale montagna, sospesa tra azzurro e selva, come un Valalla.»

Di tutto questo incanto, noi, per fortuna, ne siamo parte!

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