L’ORDINE DELLE COSE

L’ORDINE DELLE COSE

Ricordate il cuoco?
Quello che aveva smesso di cercare e aveva imparato ad ascoltare?
Ecco.
Bene.
Sentite.
Tutto comincia dal Gubet di Casale Roccolo, un caprino stagionato del Comasco, fatto con latte crudo di Camosciate delle Alpi. Nel 2019 è stato premiato come miglior formaggio al mondo ai World Cheese Awards. È un formaggio fiero, con una pasta compatta, un profumo netto di erba e pietra e un retrogusto profondo, quasi di liquirizia. Da lì l’idea: non aggiungere, ma amplificare. Lasciare che quel sentore naturale diventi la chiave del piatto.
Si accende il fuoco, si scalda la panna e si lascia sciogliere lentamente il Gubet, finché il formaggio non si arrende. Un pizzico di sale e abbiamo una salsa densa e vellutata. È la base su cui tutto poggia: morbida, avvolgente, essenziale. I garganelli freschi cuociono in acqua salata per pochi minuti. Sono ruvidi al punto giusto, perfetti per trattenere il condimento. Quando è il momento, vengono tolti dalla fiamma e mantecati nella salsa finché non si rivestono di una lucentezza cremosa e catturano il profumo del formaggio.
Ora serve il piatto giusto. Né troppo né poco ampio. Fondo.
A contrasto, si aggiunge la riduzione di pomodoro, ottenuta da un mix di varietà — Perino, Datterino, Cuore di bue, Pachino — frullate, filtrate e cotte lentamente fino a raggiungere la densità della melassa. Una traccia di concentrato corregge la dolcezza e regala la giusta acidità. È il respiro che alleggerisce, la luce che taglia la cremosità del formaggio.
E poi c’è l’erba rùta. Pianta antica, dal profumo inconfondibile. Un tempo se ne facevano grappe e decotti; si diceva che avesse virtù curative, ma anche poteri pericolosi. Oggi ne basta una traccia, un’ombra aromatica. Sbollentata appena, lasciata in infusione nell’olio per una notte, perde l’amaro e trattiene solo il suo profumo verde, fresco, quasi agrumato. Il suo gusto è netto, selvatico, ma qui si piega, si addolcisce, si lascia attraversare dal calore del formaggio e dalla freschezza del pomodoro. È lei a chiudere il piatto, assieme a un velo sottile di liquirizia che esalta le note naturali del Gubet e lega tutti i sapori.
Il risultato è un incontro di estremi: la dolcezza del latte, l’amaro dell’erba, l’acidità del pomodoro, la persistenza della liquirizia. È la memoria del territorio — collina, erba, vento — ma anche un equilibrio costruito con mano leggera.
Niente è lasciato al caso, eppure nulla sembra voluto.
Il piatto arriva al tavolo silenzioso, e tutto trova un ordine: il calore della terra, la pazienza del fuoco, la voce del bosco.
Garganelli, Gubet Casale Roccolo, concentrato di pomodoro, erba rùta e liquirizia.
Non che la storia sia finita qui.
Ma per ora fermiamoci.
Assaggiamo.
E proviamo ad ascoltare.

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